I mercati da diverso tempo sono soggetti a un unico driver, ovvero le banche centrali. Grazie (o per colpa) alla loro presenza e ai loro piani di stimolo di un’economia sempre più boccheggiante, spesso le valute tendono a subire forti svalutazioni più o meno volute, più o meno ufficialmente riconosciute. In realtà il discorso è anche più complesso per il semplice motivo che, a causa del necessario equilibrio internazionale, nessuna grande potenza può permettersi di operare troppo sulla propria valuta, sicura del fatto che, propri grazie alla sua forza economica, gli effetti negativi sia sul breve che sul lungo periodo saranno ammortizzati.
A suo tempo, quando il QE muoveva solo i primi passi, e per la precisione i primi due visto che alla fine il QE è diventato QE3, fu il Brasile il primo stato ad accusare gli Usa di voler innescare una guerra valutaria con la svalutazione del dollaro. Nonostante tutti i leader economici e finanziari si fossero successivamente affrettati a voler smentire le accuse, è innegabile il fatto che tutte le banche centrali del mondo intero abbiano deciso di seguire la strada tracciata da Bernanke e compagni e svalutare a loro volta le loro monete. Per questo motivo, dopo il dollaro, sono stati presi provvedimenti simili anche per la sterlina, lo yen giapponese e anche istituti molto più lontano come la banca centrale della Corea del Sud o quella israeliana. Non restava altro che la Bce visto che l’altra grande forza mondiale al di là di Usa e Cina sarebbe l’Europa ma visto l’andamento dell’economia ormai in crisi da oltre 5 anni il condizionale è d’obbligo.
Eppure, il problema grave dell’euro restava nonostante tutti gli sforzi fatti dalla stessa Banca Centrale Europea, quel famoso “faremo tutto il possibile per salvare l’euro e credetemi sarà sufficiente” pronunciato da Draghi nel luglio del 2012. Eppure, lo stesso Draghi è anche il primo a difendere la scelta di svalutare il dollaro, e con esso anche molte altre monete, pur restando l’ultimo paladino, suo malgrado di una moneta inopportunamente forte come l’euro. Nessuna guerra valutaria, dunque, solo una serie di tensioni sui mercati del cambio causate dalla crisi stessa. E a dimostrazione di ciò venga anche il fatto che il Giappone, con la sua Abenomics è il primo a dover scontare un pericoloso andamento altalenante proprio sul biglietto verde, nella speranza di raggiungere quel target d’inflazione del 2% proposto nel giro di 2 anni e che si spera di raggiungere anche con l’immissione nel sistema, di oltre 10mila miliardi di yen. E il rischio di perdere il controllo su una manovra di questa portata è troppo alto per fare un azzardo.