Fiat, un accordo senza aumento di capitale

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E’ di ieri la notizia ufficiale dell’acquisizione di Chrysler ad opera della società automobilistica italiana della

famiglia Agnelli che, all’evidenza, sembra destinata ad abbandonare sempre più le tradizioni italiche per

spostarsi nella patria americana dell’automobile: Detroit. Un’acquisizione già lungamente dibattuta ed

attesa, che ha trovato una svolta con la firma dell’accordo con Veba, fondo pensionistico statunitense (con

a capo il sindacato metalmeccanico Uaw), per la cessione della rimanente quota del 41,5%, che permetterà

a Fiat di raggiungere l’agognato 100%. Dietro al giubilo manifesto della società, che dal 2009 è entrata in

Chrysler al fine di riassestare le finanze della statunitense, il vero successo dell’operazione è stato il

pagamento della quota d’uscita a Veba per un totale di 3,65 miliardi di dollari, 1,35 in meno rispetto alle

stime inizialmente pronosticate; il tutto senza aumenti di capitale.

Da sempre, gli aumenti di capitale dividono il mondo della finanza d’impresa, tra chi li reputa il miglior

modo di ottimizzare un progetto latente in via di creazione e chi li vede invece come il segnale lanciato ad

un mercato pronto a trarre conclusioni sulla possibile difficoltà di reperire risorse. La delizia di una società

affamata alla ricerca di nuova liquidità da investire, insomma, può spesso trasformarsi in un deleterio

obbligo di finanziamento ad opera dei soci; un rischio che, l’amministratore delegato italo-americano Sergio

Marchionne, ha provveduto a far sì che non si verificasse.

L’accordo Fiat-Chrysler: finanza altisonante

3650 milioni di biglietti verdi, insomma, che la società torinese ha dichiarato pagherà in due tranches

distinte, una prima ($1,9 bilions) tramite il versamento di un dividendo straordinario agli azionisti a nome di

ChryslerGroup, mentre la rimanente quota di $1,75 miliardi, sarà saldata cash utilizzando la liquidità in

cassa a Fiat. Inoltre, un memorandum firmato tra Veba e Chrysler, vincolerà quest’ultima (ovvero la stessa

Fiat), a pagare quattro importi di 700 milioni di dollari l’uno al fondo americano del Uaw, dal momento

della stipula ufficiale fino ai successivi tre anniversari; dal canto suo, il sindacato metalmeccanico si

impegnerà nel sostenere l’attività industriale dei gruppi automobilistici italo-americani e la loro alleanza.

Da sempre gli aumenti di capitale dividono il mondo della finanza d’impresa, si è detto: la trovata di

Marchionne non solo ha evitato tale contrapposizione, ma ha fatto in modo che un’acquisizione già

altisonante, risultasse ancora più di prestigio per il gruppo torinese, il quale, con le proprie finanze, si è

costruito e ricostruito da se.